di Antonio Rondinelli
Cosa rappresenta per me “Malvarosa” il libro di Raffaele Nigro, autore di varie altre opere di narrativa, storia, ma soprattutto de “I fuochi del Basento”?
Un omaggio, un inno alla Lucania ellenica e latina ed alla Basilicata bizantina, longobarda e sveva. Già il titolo “Malvarosa” e il frontespizio a pag.9 riprendono un verso del poeta lucano vivente Mario Trufelli, anch’essi, il verso ed il suo autore, stemma, quasi icastica definizione di questa regione dai due nomi e dai due mari. La fabula del romanzo appare quasi un pretesto, perché non c’è una vera e propria storia nel dialogo, un molto evidente espediente letterario, tra Eustà (per Eustachio, nome tipicamente materano) e l’arabo musulmano El Houssi. Se proprio storia vogliamo vedere dobbiamo intenderla come desiderio di fuga di un giovane dal Sud povero, senza prospettive, che gira il mondo: Africa, USA, per poi tornare deluso al suo paese, che diventa la vera meta psicologica ed affettiva cui tendeva.
Più che un viaggio reale è un viaggio dell’anima dalla Magna Grecia di Pitagora, Metaponto, Taranto, Eraclea, Pandosia, Nova Siri, Grumentum ai conventi di monaci basiliani e bizantini, sulle tracce di Longobardi, Saraceni e Svevi nei castelli di Federico II di Lagopesole e Melfi. Ma c’è anche tanta antropologia nel paese della magia e del malocchio, che non si deve nominare e che io nomino senza gesti scaramantici: Colobraro, ci sono i riti e la religiosità popolare nel culto della Madonna della Bruna e di Picciano a Matera, di Anglona a Tursi (MT), di Viggiano (PZ), c’è molta archeologia nelle tombe saccheggiate di notte da Eustà che chiama sul proscenio il grande studioso rumeno Dino Adamesteanu, c’è la poesia di Isabella Morra, l’infelice e tragica fanciulla di Favale, la poesia novecentesca di Rocco Scotellaro, il sindaco, poeta dei contadini, di Leonardo Sinisgalli, il poeta matematico, ingegnere, de “l’usignolo di Tursi”, come Tommaso Fiore definì Albino Pierro, poeta famoso per le sue liriche nel dialetto del suo paese, che gli valsero due candidature al Premio Nobel per la Letteratura, c’è la musica del principe Gesualdo da Venosa, c’è l’avventura guerresca di Ruggero di Lauria, c’è la scoperta di una terra al mondo e ai suoi stessi abitanti di Carlo Levi, c’è tanto altro che lascio al lettore scoprire.
A fianco a questo mondo onirico e incantato, immerso in un tempo immobile, troviamo anche la Basilicata devastata dai relitti di un’ industrializzazione tradita e abbandonata in Val Basento, dei pozzi petroliferi che prosciugano e intossicano la Val d’Agri, che invece che ricchezza e benessere hanno lasciato, la prima, e portato, i secondi, alla terra di Basilicata inquinamento e devastazione e ai suoi abitanti povertà, nuova emigrazione (questa volta di cervelli, essendo esaurite le braccia) ed un’impennata impressionante di malattie tumorali, cui partecipa il deposito di scorie radioattive di origine USA degli anni ’60, in località Trisaia di Rotondella (MT) ad un chilometro dal mar Joonio. (Intanto proprio in questi giorni si apprende che in Baslicata sono state individuate decine di siti per eventuale stoccaggio di altre scorie radioattive, nonostante i fatti di Scanzano del 2003! Ma qui il discorso diventa politico).
Non manca la storia contemporanea dal golpe Pinochet alle vicende italiane degli anni ’60 -’70 -’80. Il tutto in una piacevole, voluta confusione e commistione di luoghi e fatti reali, ma utilizzati “a gusto”, come a voler fare un piatto diverso con ingredienti noti e già utilizzati. In questo felice pastiche rientrano la perdonabilissima imprecisione a pag. 72, il finale un po’ scontato del romanzo e i personaggi che sono per lo più tipi, anche se, per me, il più riuscito risulta essere il più frequentato in letteratura: Braham; ma l’ironia, alcuni bei passaggi, come a pag. 116, i periodi finali dell’ultima pagina, rendono piacevole la lettura e tengono legato, quasi avvinto, il lettore. Certo, “I fuochi del Basento” sono ormai un classico, ma questo “Malvarosa” è un’opera da leggere e non solo per l’entusiasmo di parte (perché lucano) di chi qui la recensisce.